Il forno ventilato della
cucina di mia mamma, con il suo ronzare laborioso, camuffa
ogni altro rumore. Clic, si spegne la spia rossa della
temperatura, come una strizzatina d'occhio, per dire
che ha raggiunto i 180 gradi e nell'aria comincia a volteggiare
il profumo delle patate al forno. Chiudo gli occhi per
dare modo al mio olfatto di non distrarsi e di concentrarsi
al meglio per scindere gli ingredienti di quel buon odorino.
Rosmarino, pepe, un filo d'olio d'oliva ma soprattutto
l'aglio. Sbirciando dallo sportello del forno i miei
occhi mi danno conferma di essere un perfetto cane segugio.
Le patate tagliate a spicchi grossolani punteggiati di
pepe nero, dorate, come gli stessi spicchi di aglio,
il rosmarino a rametti leggermente bruciacchiato come
alberelli di un bosco incendiato dove scorre un rio sottile
d'olio smeraldino e serpeggiante. La carta d'alluminio
appoggiata nella teglia, vibra per il calore come il
tutù di una ballerina d'argento. Sul vetro del
forno si disegna l'alone del mio respiro: sembro una
bimba davanti a una vetrina di bambole.
Che profumo familiare quello dell'aglio! La mia bocca ne rievoca il gusto
a tal punto che mi aumenta la salivazione. Mi ricorda Giò. Quando
mi baciava sapeva sempre un po' d'aglio. La prima volta mi chiese se
mi dava fastidio ma visto che io gli risposi che non ero un vampiro e
che amavo l'aglio quanto la cipolla non ci furono mai problemi. Più che
l'alito erano i suoi capelli e le sue mani a sapere d'aglio.
Giò lavorava in una bruschetteria nel litorale toscano dove da
ragazza andavo in vacanza con la mia famiglia. Non so nemmeno raccontare
come sia iniziata tra noi, semplicemente eravamo due ingredienti che
si "sposavano" bene pur rimanendo se stessi, un po' come gli
spaghetti e il pomodoro o il burro e la marmellata. Era bello annusare
quel profumo che mi lasciava addosso dopo avermi accarezzato, mi faceva
sentire sua, come fanno certi animali per marchiare il loro territorio.
Ero proprio un arrosto: cotta e insaporita a puntino.
Giò continuava a ripetermi che gli piacevo proprio perché ero "morbida",
diceva che con quelle magre lui non ci faceva nemmeno il brodo. Io alla
linea non ci ho mai fatto caso, con una mamma emiliana capace di ricette
sublimi e con il carattere forte e sicuro che mi ritrovo, qualche rotolino
sui fianchi non è mai stato un problema. Trovava la mia pelle
chiara irresistibile, diceva che era pura come lo yogurt sverginata,
qua e là, da dei rossori che sembravano pezzettoni di fragole
mature. Impazziva per il mio seno, lo paragonava a due panetti tondi
di pasta di pane con due capperi al centro, che lui lavorava con le sue
mani avvolgenti e assaggiava con le sue labbra scure. Il mio ombelico
era il suo tortellino. Non si trattava solo di attrazione fisica, lo
stare insieme completava le nostre vite.
Una sera sulla scogliera, dove ci davamo appuntamento, arrivò con
un barattolo di panna montata spray, me lo spruzzò sul mignolo
della mano e cominciò a succhiarmelo. Ricordo che c'era la luna
piena che di fronte a quella scena trasformò un suo cratere in
una bocca golosa. Sì, perché nel comportamento di Giò non
c'era mai nulla di perverso, ma solo il piacere di abbinare il cibo ai
propri sentimenti. Se decideva di farmi un regalo mi preparava un dolce
con le sue mani, io lo trovavo più speciale dei soliti fiori.
Sosteneva che mangiando quello che mi cucinava, inevitabilmente lui entrava
dentro di me. E aveva ragione. Finite le mie vacanze, malgrado abitassimo
lontani, continuammo a stare insieme. Ci telefonavamo e ci scrivevamo
tantissimo.
Dentro le sue lettere mi infilava foglie di menta o di basilico, scrivendomi
che in quel modo quando avessi sentito quegli odori avrei pensato di
più a lui. A un nostro incontro mi portò una collana che
mi aveva confezionato infilando vari tipi di pasta cruda; così riusciva
a farmi sentire una regina, mentre mi sussurrava che mi amava così tanto
che mi avrebbe mangiato: per istinto siamo portati a "consumare" solo
le cose che ci piacciono veramente. Sono sempre stata incostante nei
sentimenti ma con Giò era diverso, lui sapeva cogliere la magia
delle cose più semplici, riusciva a "nutrire" la mia
anima.
Il mio ventiduesimo compleanno lo festeggiammo insieme. Fece molta strada
per venire da me e si era anche preso qualche giorno di ferie dal ristorante
dove lavorava come aiutante. Ma lui non voleva pelare patate per tutta
la vita, io lo sapevo che un giorno avrebbe avuto un locale tutto suo.
Giò non aveva bisogno di studiare: la cucina ce l'aveva nelle
vene.
Quel 20 Febbraio portò in mio onore una Pinot Grigio molto speciale
e a fine serata mi regalò il sughero di quella bottiglia. Mi disse
che quando mi sentivo sola potevo annusarlo e mi sarei sentita meglio.
Drin, in timer del forno mi riporta alla realtà. Cerco la mia
borsetta e dopo aver rovistato un po' stringo tra le mani quello stesso
turacciolo. Sono passati dieci anni ma "funziona" ancora. In
una taschina della mia borsa trovo anche il primo anello di fidanzamento
che mi ha regalato Giò: fatto con il marzapane. Quando l'ho mostrato
in casa e alle amiche tutti hanno riso, io che avevo rifiutato qualche
anno prima un solitario da una ragazzo che mi adorava ma che per me era
e restava solo un amico, stavo lì con gli occhi pieni di gioia
per un pezzo di marzapane. Ma l'aveva plasmato lui, colorato con lo zafferano
e al posto della perla un confetto. Questo è il vero volto della
felicità!
Improvvisamente il mio naso viene lusingato da un profumo che seduce
e poi conquista quello delle patate al forno: odore di carne ai ferri.
Mi dirigo verso la porta che conduce al giardino. Sento già lo
sfriccicare delle salsicce che lentamente sciolgono il loro grasso, stimolate
dal carbone acceso che arroventa la griglia. Le costate grosse un dito
che si rigano come cosce di signore sdraiate al sole. Gli spiedini, con
le falde di peperone che si accartocciano insieme alle foglie di alloro.
Qualche goccia d'olio dal pennello per ungere la carne cade direttamente
sulla brace che si lamenta crepitando. Eccolo là, Giò,
di spalle sotto il pergolato di gelsomini odorosi. Attento alla sua grigliata
come un artista davanti alla sua tela. Sente la mia presenza, si gira
e mi sorride. Lo stesso sorriso di quella notte passata a Parigi quando,
al posto del caviale ha estratto dalla valigia un vasetto di crema al
cacao formato famiglia. Ha il grembiule che gli ho regalato per il nostro
quinto anniversario di matrimonio. Sulla pettorina c'è scritto "IN
CUCINA COMANDO IO", ma in realtà gli piace cucinare insieme
a me perché ci aiuta a crescere come coppia.
Stiamo approfittando per passare qualche giorno dai miei, visto che abbiamo
chiuso il nostro ristorante per una settimana di ferie. Sapete come l'abbiamo
chiamato? Spicchio d'aglio e gli affari vanno bene. Alle pareti abbiamo
messo delle bellissime reste d'aglio che Giò ha intrecciato con
le sue mani. Ecco arriva il resto della mia famiglia che apparecchia
la tavola sotto il gazebo di legno. Mio padre si lamenta per il caldo,
mia sorella piega i tovaglioli in modo che sembrino uccelli e mia madre
sistema i piatti. Non vogliono che io muova nemmeno un dito viste le
mie "condizioni". Piccolo mio, dici che se rubiamo qualche
patata dal forno qualcuno se ne accorge? Troveremo la scusa di non rischiare
di farti nascere con una voglia d'aglio sul naso! Comincia ora, anche
se sei lungo solo qualche centimetro, a capire quanto il cibo non rappresenti
solo un bisogno primario di sussistenza, ma una gioia. In ogni cibo,
c'è un gusto, un colore, un profumo, un suono...una sinfonia di
emozioni.
Ora raggiungiamo gli altri, ritrovarsi tutti insieme a tavola è un
momento speciale e presto, tesoro della mamma, ci sarai anche tu!
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