Non dobbiamo farci
piccionare; ovvero, il sottile legame tra Baghdad e
il Ticino
Thierry Dell'Orto
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Iraq, 1991. Il cielo notturno,
olivastro di Baghdad, tagliato confusamente da lampi improvvisi,
bagliori in lontananza, una scia di fumo, la faccia tumefatta
di Cocciolone che, sgomenta, ripete davanti alla telecamera: "My
name is Maurizio Coccolone"; il volto di Peter Arnett
della CNN.
Iraq, 2003. Il cielo notturno, olivastro di Baghdad, tagliato confusamente
da lampi improvvisi, bagliori in lontananza, una scia di fumo, la faccia
tumefatta del soldato Miller che, sgomenta, ripete davanti alla telecamera: "My
name is Miller, I come from Texas…"; il volto di inviato/a tutto
trafelato, che si china ad ogni boato nel tentativo di rendere il dramma
del bombardamento su Baghdad più reale, di manifestarsi come attore
partecipante nella sconvolgente vicenda bellica.
Dei giorni di guerra in Iraq, a distanza di dodici anni, rimangono, per
ora, tre immagini analoghe. Tuttavia, tutto sommato qualcosa è cambiato.
Io, ad esempio. Non sono più il piacione-boccalone del novantuno.
Dei giornalisti, di questi finti mastini della guerra non se ne può più.
Alcuni di questi grotteschi fraseggiatori non cercano di condividere il
dolore della povera gente di Baghdad. Semplicemente la strumentalizza.
E di riflesso strumentalizza anche la nostra credulità. Cosa succede
al fronte? Dove sono veramente arrivate le truppe alleate? Quale fonte
migliore e più diretta degli stessi militari in zona di guerra!
Il fenomeno dei blog (contrazione di web e log, diari in rete) alimentati
dai soldati sta guadagnando ogni giorno di più l'attenzione degli
utenti di Internet. Grazie a potenti computer satellitari indistruttibili
di cui sono dotati, i soldati americani raccontano in rete la loro guerra:
una visione privata che li trasforma da combattenti in reporter dei fatti
di cui sono protagonisti. A questi weblog fanno ricorso sempre più utenti
in cerca di informazioni attendibili. Perciò, per il destino di
internet, della sua attendibilità, questa guerra è cruciale.
Il sottile legame che unisce la terribile guerra in Iraq al decisivo momento
elettorale ticinese può essere costituito dal tentativo di alcuni
falsi profeti di piccionare la gente comune. Onesta, generosa, vera; ma
pur sempre comune. Può essere costituito, inoltre, dalla potenziale
e latente incapacità di una parte dell'elettorato ticinese di proteggersi
dalle notizie "opportune", dalla strumentalizzazione globale
veicolata da alcuni demagoghi opportunisti. In questo senso, innanzitutto
mi permetto di fare i complimenti a tutti gli attori politici del Cantone,
i quali evitano, saggiamente, di incappare, come a causa di un perverso
automatismo, nell'annoso dibattito politico sulla solita diatriba "pacifismo
contro interventismo", nonostante l'esempio principe che dilaga dalla
vicina penisola, dove sembra che tutti stiano pazzescamente facendo leva
sui poveri sfollati di Basra e i sulle povere donne sdentate di Baghdad
(capita persino ad alcuni amici pacifisti). Questo proprio mentre in Ticino
impazza la pungente e pur sempre divertente sfilata sul palcoscenico delle
elezioni cantonali. Anche in questo ambito, come per l'intera gamma dell'attualità moderna,
l'importante è riuscire a scovare il limite tra realtà e
strumentalizzazione. |
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